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UNA BELLA NEVICATA D’AGOSTO

La mattina dello scorso 4 agosto, trovandomi per un pò di ferie in Alto Adige, non comincia bene. Il cielo scuro e la temperatura relativamente bassa non lasciano presagire alcunchè di buono. Velocemente abbandono l’idea di compiere l’uscita in bicicletta programmata la sera prima. Dopo un rapido consulto con mia moglie, decidiamo una gita in macchina in alta Val Venosta, alla scoperta dei tesori che quella zona ancora nasconde. Solo per precauzione, però, carico la bici nel portabagaglio dell’auto e, chissà, mi dico, se nel pomeriggio uscisse il sole, potrei effettuare una breve uscita sciogli-gambe. Detto fatto, partiamo e verso le 11 siamo a Prato allo Stelvio. Le montagne intorno, al di sopra di una quota (elevata) sono leggermente inbiancate dalla inusuale nevicata della notte. Il cielo ora è meno cupo e qua e là lascia intravvedere il sole, o così pare. Quasi per gioco, propongo allora a mia moglie di fare la mia uscita, ovviamente verso lo Stelvio, senza intenzione di scalarlo tutto, mentre lei potrà aspettarmi in paese fino all’ora di pranzo, o, al massimo, poco oltre. “Mi raccomando, se comincia a piovere, torna subito indietro” queste le sue ultime parole, mentre io già giro l’angolo della Statale dello Stelvio e fuggo via impaziente. La temperatura, sui 18 gradi, è pressochè ideale, la salita è la più famosa fra quelle che un ciclista possa affrontare, io sono al “settimo cielo”. Se avessi pensato di trovarmi là così inaspettatamente in quel giorno, non ci avrei mai creduto. Comincio a pedalare, dapprima con qualche difficoltà, poi, sempre più in scioltezza. Tre ciclisti, norvegesi (direi, dalle loro maglie), ad un tratto mi raggiungono, ma il loro ritmo è troppo sostenuto per me e li lascio andare. Dopo un’ora, l’altimetro mi segnala che ho scalato un dislivello di 800 metri: buono, mi dico, non sono stanco, posso continuare. Supero Gomagoi, poi Trafoi, poi l’Hotel Bella Vista gestito dalla famiglia di Gustav Thoeni. Non ci sono altri ciclisti, né traffico, sulla strada quasi deserta. Un’auto che scende ha un po’ di neve sul parabrezza, ma non tanto. Continuo l’ascesa e giungo all’hotel Franzenshohe, posto al tornante n.21 (dei 48 della salita) proprio ai piedi della rampa finale, in un punto dal quale si vedono, lassù in alto, gli edifici del Passo. Fa un po’ più freddo, ma decido di proseguire. Poco più avanti, però, cominciano i primi fiocchi di neve, radi. Non mi preoccupo, poiché la neve si arresta quasi subito. Qualche tornante più sù, la neve riprende, questa volta più fitta, ma ancora sopportabile. La strada si bagna ed io pure, ma si può mai abbandonare l’impresa quando manca così poco alla vetta? No, io continuo. Così, tornante dopo tornante, giungo in cima al Passo a 2757 mt (1810 metri di dislivello), in un tempo di 2 ore e 28 minuti (non certo eccezionale, ma è forse il migliore risultato delle mie 4 scalate allo Stelvio). Sono inzuppato dalla neve trasformatasi in acqua e, adesso, sono soprattutto infreddolito. Mi copro con la leggerissima mantellina estiva che non allevia certo il mio disagio per il freddo crescente. Riesco appena ad estrarre la macchina fotografica per una foto ricordo, nella quale (v. allegato) cerco di sorridere, ma a causa del freddo mi riesce solo una smorfia. Poi, capisco che devo scendere in basso al più presto possibile, ma mi assale il dubbio di non farcela, poiché le mie mani sono pressochè congelate. Inizio la discesa a freni tirati sulla strada viscida, ma il freddo è talmente intenso che dopo due tornanti devo fermarmi a scaldare le mani. Senza successo, perchè il freddo è glaciale. Riprendo, ma la situazione peggiora. Ora non sono solo le mani quasi assiderate, ma tutto il corpo è squassato da tremori. Non so come, riesco a raggiungere l’hotel Franzenshohe. Entro per bere un tè caldo che non riesce a scaldarmi. Due motociclisti, sopraggiunti nel frattempo e preoccupati del mio stato, mi buttano addosso le loro pesanti tute e mi frizionano le gambe , ma l’intenso tremore non cessa. Addirittura uno di loro chiama il 118 chiedendo consigli al medico per un ciclista colto da ipotermia. Dopo parecchio tempo, la proprietaria tedesca dell’hotel arriva con alcuni vestiti asciutti dicendomi: “Si tolga tutti i vestiti bagnati, comprese le mutande (mi piace ricordare questa precisa raccomandazione un po’ teutonica) e si metta questi. Vedrà che starà subito meglio”. Così faccio ed, in un baleno, tutto ritorna normale (a parte la sensibilità dei polpastrelli delle mani, ricomparsa solo tre giorni dopo, per un principio di assideramento). Poi, la stessa signora si offre di portarmi a valle in macchina, permettendomi di raggiungere mia moglie che nel frattempo avviso telefonicamente. Per conludere l’avventura, rivestitomi dei miei panni, risalgo in macchina fino al Franzenshohe per recuperare la bici rimasta colà e per riconsegnre i vestiti prestati nell’emergenza. Con tante grazie all’ospitalità dei montanari dello Stelvio!!!
Morale della vicenda: CICLISTI, NON AVVENTURATEVI MAI IN ALTISSIMA MONTAGNA, NEPPURE D’ESTATE, SENZA UN OPPORTUNO EQUIPAGGIAMENTO AL SEGUITO. UN PICCOLO ZAINETTO, CONTENENTE UN CAMBIO ASCIUTTO E QUALCOSA DI PESANTE, PUO’ TOGLIERVI DA SITUAZIONI MOLTO PERICOLOSE.
Per la cronaca, il 5 agosto si festeggia la Madonna della Neve. Io posso dire che non è una bizzarria del calendario.

Ivo Panzani sul Passo dello Stelvio imbiancato da una neve fuori stagione lo scorso
4 agosto 2006. Più che un sorriso, gli traspare una smorfia per il freddo intensissimo

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